venerdì 10 febbraio 2023

Foibe. A diciannove anni dalla legge si fatica a restare in equilibrio tra retorica e strumentalizzazione politica della storia

di Vito Stano

Approfittando dell’ultimo lavoro dato alle stampe dallo storico torinese Enrico Miletto dal titolo Le due Marie. Vite sulla frontiera orientale d’Italia (edito da Scholè, 2023), si è tenuto a Bari presso la biblioteca del Consiglio Regionale Teca del Mediterraneo un incontro formativo in occasione del Giorno del Ricordo. L’evento è stato organizzato dall’IPSAIC (Istituto per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea) e dalla Biblioteca del Consiglio Regionale Teca del Mediterraneo. È stato un momento di riflessione a proposito di temi storici che, nonostante siano trascorsi molti decenni, fanno ancora rumore: a destare l’attenzione ci hanno pensato per la parte relativa alla memorialistica Dionisio Simone, esule da Pola (Istria), e per la parte relativa ai rapporti internazionali dopo il secondo conflitto mondiale il ricercatore dell’Università di Bari Rosario Milano. Ha introdotto la dirigente della Teca la dottoressa Anna Vita Perrone, ha invece coordinato la discussione la professoressa Anna Gervasio direttrice dell’IPSAIC.
 
La memoria personale e familiare
Dionisio Simone, già insegnante, ha ripercorso le tappe della propria vita ricordando vicende personali e familiari legate all’esodo dalla terra natia, l’Istria. Il racconto emotivo, a tratti commosso, è stato interessante, poiché per quanto di natura memoriale ha avuto il pregio di mantenere un equilibrio non facile. Dunque nonostante al centro della narrazione ci fossero le vicende umane personali (la paura delle persecuzioni e il distacco dalla propria terra), è stato approfondito anche l’aspetto relativo all’esodo giuliano-dalmata, che, come ribadito a più voci, sconta ancora un disaccordo tutto statistico tra le pubblicazioni di carattere memoriale e le ricerche prettamente accademiche.  
 
L’analisi del contesto globale e l’uso strumentale della storia
A Rosario Milano, ricercatore di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università degli Studi di Bari, è toccato invece tracciare le linee del complesso quadro delle relazioni internazionali, naturale cornice di una narrazione globale, a volte di difficile interpretazione. L’impianto delle vicende storiche narrate, facendo riferimento ai fatti accertati, ha invitato a porsi ulteriori quesiti, utili quest’ultimi a leggere le vicende già analizzate dalla ricerca storica, tanto quanto capaci di interpretare le attuali circostanze (europee), di cui la guerra d’aggressione che la Russia sta conducendo ai danni dell’Ucraina e del suo popolo ne è un fulgido esempio. Su questo punto, interessante è stata l’intuizione del dott. Milano a proposito dell’uso strumentale della storia da parte della politica: il caso dei Paesi dell’ex blocco sovietico (vedi di nuovo il caso ucraino): «i governi hanno usato la storia per creare un sentimento nazionale» per sganciarsi dal passato comune gonfiando, in tal modo, un sentimento nazional-populista utile alla causa ma foriero di conseguenze dirompenti; al contrario del percorso che hanno (più o meno congiuntamente) compiuto i Paesi membri dell’Unione Europea (vedi il caso Italia-Slovenia-Croazia proprio relativo alla necessità di avere una lettura condivisa dei fatti accaduti a cavallo delle due guerre mondiali su quel lembo di terra conteso che noi italiani chiamiamo confine orientale).
 
Conoscenza dei fatti vs retorica ad uso politico-elettorale
Molte volte la verità sta nel mezzo, e se è vero che per opportunità di politica internazionale per molti anni ai fatti del confine orientale non si è dato grande risalto, è disonesto affermare che si è nascosta la verità, questo è dimostrato dalle pubblicazioni che furono realizzate a guerra appena conclusa e negli anni successivi; pubblicazioni che denunciavano i fatti atroci avvenuti nelle terre contese a cavallo tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945. Anche su questo punto la retorica «degli italiani infoibati solo perché italiani» non regge neppure nel racconto memoriale di un esule (che in effetti ne afferma la totale incongruità dell’assunto), figuriamoci nel resoconto dell’analisi storica, che (in modo largamente condiviso dai più) afferma che le esecuzioni (i cosiddetti infoibamenti) venivano perpetrati seguendo un disegno egemonico che andava oltre le nazionalità, poiché mirava a costruire un mondo (quello socialista jugoslavo) che avrebbe (come del resto poi ha fatto) messo insieme i popoli slavi, da sempre divisi e quindi vittime di Paesi “protettori”, e tutti coloro che guardavano al domani attraverso il prisma del socialismo reale per creare un Paese grande e autonomo (in quest’ottica si legge la strada di Tito al socialismo reale e la successiva rottura con Stalin).

Due giornate della memoria: unicum tutto italiano
Se una certezza c’è, è che delle vicende del confine orientale (e dunque di torture e violenze, di cavità carsiche ed esecuzioni, di opzioni più o meno “volontarie”, di esodo e di campi profughi) si è ricercato e pubblicato tanto quanto basterebbe a prenderne piena coscienza, se non fosse che la stessa giornata del ricordo (un unicum in Europa) nasce sotto la spinta di una destra che faticava (all’epoca) a rinnegare il fascismo, o lo faceva bisbigliando per non irretire i vecchi camerati ancora legati ai concetti di irredentismo e vittoria mutilata, facendo di un fatto locale (vissuto allo stesso modo al confine orientale d’Italia e in molte altre aree regionali della sventurata Europa) un fatto di importanza nazionale. Ebbene la storia è stata largamente accertata ma la retorica stucchevole continua, per proseguire (a fini politico-elettorali) quel infinito lavaggio di coscienza tipico degli italiani: che non hanno affrontato le responsabilità del colonialismo, dell’assimilazione forzata dei popoli alloglotti del confine orientale, vent’anni di dittatura fascista, le leggi razziali e il confino “concesso” agli oppositori politici del regime, fino alla comune volontà nazi-fascista di aumentare il numero di popoli da assoggettare all’idiozia della razza ariana con tanto spregio della vita umana come mai prima di allora era avvenuto.
 
A dimostrazione di tanta inutile retorica e di tanto uso strumentale della storia, in alcuni paesi del profondo Sud (che a volte faticano a conoscere la propria storia regionale) sono previste non una ma due manifestazioni nel Giorno del ricordo: la prima istituzionale e l’altra di partito (di destra). Tanto basta per domandarsi, ancora una volta dopo quasi vent’anni dalla legge che ha istituzionalizzato il 10 febbraio, a chi servono queste cerimonie?        

lunedì 6 febbraio 2023

Ambiente. Dal bioparco al parco naturale: il dilemma della conservazione tra gabbie e regolamenti

di Vito Stano

L'archivio è come un essere vivente e di tanto in tanto emerge una storia che vuol essere raccontata: è da qualche giorno che chiedo al mio archivio di restituirmi qualcosa e stamattina sono stato accontentato: le immagini che ho realizzato al bioparco di Valencia (nel non troppo lontano dicembre 2019) mi hanno permesso di creare un collegamento con un podcast che ascoltavo l'altra sera su RaiPlaySound: in Orsa minore, questo il titolo del podcast, diverse voci raccontano la vita più o meno selvaggia del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise sulle cui estese terre vivono numerosi esemplari di orso marsicano. 

La coincidenza, maldestramente, mi ha portato attraverso la cronaca alla notizia dell'ennesimo orso investito su una tratto di strada statale che taglia quei territori. Insomma la vita selvaggia che interseca la modernità senza tanti complimenti. Perché unisco idealmente la vita selvaggia degli orsi marsicani con gli esemplari di numerose specie ospitate nel BioParco di Valencia? Ebbene la voce di una delle protagoniste di Orsa minore, mi colpì profondamente quando, a proposito della necessità di recintare e segnalare i limiti di un parco nazionale, disse (vado a memoria) che si dovrebbe riflettere sull'incapacità della specie umana di rispettare le altre specie e il loro territorio, in quanto evidentemente non siamo in grado di convivere con altre specie se non le riduciamo al ruolo di comprimari. Una triste realtà che può essere osservata nei bioparchi o zoo contemporanei: anche a Valencia dunque, che proprio in febbraio festeggia i suoi quindici anni di attività, è possibile osservare una serie di specie animali (anche tra le più feroci) comodamente passeggiando su selciati artatamente riprodotti per ricreare un habitat lontano.

Per questo oggi, ancora una volta, approfitto per riflettere sull'autenticità delle esperienze che viviamo: un leopardo dietro un vetro antisfondamento ha un senso soltanto se mi immagino di essere in una sorta di atlante tridimensionale a grandezza naturale, stesso discorso varrebbe per un enerme acquario che contiene, come fossero pesci rossi, i pinguini dall'Antardide. Non è facile accettare come e quanto stiamo riducendo tutto alla categoria del consumo, perché se è indubbiamente vero che molti esemplari a rischio sono stati garantiti dalla ingloriosa estinzione, è anche vero che metterli in esposizione genera introiti (più cibo e gadget da portare a casa) che producono l'effetto tipico di ogni atto consumistico: ridimensionare l'esistenza alle cose materiali, cose acquistabili e consumabili. 

venerdì 3 febbraio 2023

Amministrazione comunale. Le promesse elettorali si fanno reali: i lavori di rinnovamento al parco giochi sono iniziati

 di Vito Stano

Qualche anno fa, durante l'epoca amministrativa Di Medio-Giustino il parco giochi nel quartiere Sacro Cuore subì un rimaneggiamento, ma fu così poco significativo che ricordo d'aver criticato aspramente quel consumo di denari pubblici per poi far sporcare i bambini e le bambine come in un cantiere. 
Parco giochi, Vito Stano@2019


Ricordo d'aver imbeccato l'allora consigliere Davide Del Re nel bar in piazza e l'attuale sindaco mi contestò che il progetto, che era stato scritto da lui (epoca Lionetti-Del Re), era diverso da quello adottato successivamente dall'amministrazione Di Medio-Giustino. 
Qualche giorno dopo per caso, sempre in piazza, incontrai il vicesindaco Angelo Giustino e criticai le scelte adottate e lui mi disse che in cinque anni avrebbero potuto fare delle modifiche. Ma io non diedi credito alle sue parole e in effetti ebbi ragione. 

Oggi, a qualche anno di distanza, il tempo è cambiato: le promesse elettorali divengono reali. I lavori sono iniziati e l'assessore Enza Battista non fa mistero della sua soddisfazione: «è un intervento che ci premeva fare quanto prima, perché la felicità dei bambini passa anche dalla loro sicurezza».





Parco giochi, Vito Stano@2023

lunedì 9 gennaio 2023

Anno domini 2023. Le notizie dal mondo e dalla Puglia a bomba sul nuovo anno

di Vito Stano

La ripresa della scuola e dei soliti affari quotidiani è stata come una panno umido che tira a sé i resti di un lunghissimo ponte (tibetano) natalizio. Dalle rassegne stampa ascoltate in mattinata su Radio3 e dalla lettura al volo di qualche quotidiano emergono alcune notizie che fanno ben gridare «Welcome 2023!»: dall'assalto al Congresso brasiliano alla tregua del Natale ortodosso saltata tra le macerie ucraine, dal VI Congresso della CGIL di Bari agli incidenti d'auto sulle strade di Puglia che tante, troppe vittime stanno facendo.

Sul quotidiano L'Edicola del Sud invece un bel articolo di Enzo Quarto a proposito di un interessante libro scritto da Mario Gianfrate dal titolo 'Ipotesi di un delitto' edito da 
Les Flâneurs Edizioni. Nel libro si racconta della tragica vicenda che riguardò il delitto di Giuseppe Di Vagno. Il socialista scampò al tentato omidicio a Conversano, nel quale caddero sotto il fuoco della squadraccia fascista un compagno socialista e un giovane fascista. Fu nuovamente raggiunto dai sicari fascisti a Mola di Bari, dove fu assassinato. Questa storia è raccontata da Enzo Quarto sulle pagine del quotidiano diretto da Annamaria Ferretti. 

Questa storia di antifascismo militante ben si collega con la notizia della conferma alla guida della CGIL di Gigia Bucci, la quale dal palco stamattina ha voluto ringraziare con queste parole i presenti: «Care compagne e cari compagni, non è semplice per me contenere le emozioni che ancora una volta oggi, come la prima volta, mi trasmettete, dandomi la forza e l’entusiasmo di impegnarmi al fianco di ciascuno di voi, di ogni lavoratore, giovane e meno giovane, pensionato, fragile, precario, insomma di chiunque faccia parte della nostra comunità, della nostra grande famiglia della CGIL. A ciascuno di voi, uno per uno, voglio dire grazie. Grazie perché senza l’impegno ed il contributo di tutti noi, non saremmo riusciti a raggiungere in questi anni i tanti risultati, i successi e le vittorie delle numerose battaglie combattute fianco a fianco». 

Alla lista dei suggerimenti aggiungo un ultimo link, che ieri sera ho condiviso via wapp a qualche amico: mi riferisco al podcast in cinque puntate Anime resistenti, prodotto da CGIL Bari, CGIL Puglia e Fondazione Maierotti. 

«Anime Resistenti -si legge sul sito de La gazzetta del mezzogiorno- è il nuovo podcast realizzato da CGIL Bari, CGIL Puglia e Fondazione Maierotti, in collaborazione con la Gazzetta del Mezzogiorno e con il supporto di Abyond. Si tratta di una mini serie di 5 puntate che ripercorre la storia dell’antifascismo del nostro territorio. In ogni episodio, infatti, si esplora un momento specifico della vita del protagonista che sarà poi lo spunto per un viaggio narrativo che toccherà le tappe principali della sua vita. 
Una produzione audio che ha l’intento di promuovere non solo i valori democratici della Cgil, ma soprattutto la memoria storica del nostro territorio, ripercorrendo gli avvenimenti più importanti per la costruzione della coscienza sociale del Sud. E quale miglior mezzo di comunicazione potevamo scegliere se non la voce? In questa mini serie accompagnati dalle diverse frequenze della voce, vi accompagnere alla scoperta delle straordinarie personalità di Giuseppe Di Vittorio, Rita Maierotti, Alba de Cespedes, Sandro Pertini, Benedetto Petrone. I testi sono stati realizzati da Riccardo Lanzarone, mentre la supervisione musicale è a cura di Nother. Le illustrazioni sono a cura di Mariateresa Quercia, concept grafico di Almanacco press».  

Io l'ho ascoltato ieri sera, tutte e cinque d'un fiato, e ne sono rimasto sorpreso (per le storie e i dettagli che non conoscevo) e soddisfatto perché il podcast è uno strumento formidabile per riportare la Storia e le storie di ieri al centro del dibattito confuso e smemorato di oggi.

Ah dimenticavo buon 2023 a tutte le lettrici e a tutti i lettori di questo spazio autogestito.

lunedì 19 dicembre 2022

La storia di Cassano raccontata strada per strada: l'importanza della toponomastica per una comunità consapevole

 di Vito Stano

Toponomastica e storia

Grazia Deledda, Ada Negri, Madre Teresa di Calcutta, Madre Clelia Merloni, le Sante Caterina, Cecilia, Chiara e Maria dei Martiri: se vi state chiedendo questo elenco cosa rappresenta è bene precisare che le informazioni che andrò a condividere in questo spazio sono state tratte tutte (o quasi) da un libro fondamentale: ‘Cassano delle Murge, Toponomastica e storia’, curato da Renato Tria e Giuseppe Campanale. Il primo professore e il secondo insegnante hanno composto questo lavoro memorabile per le edizioni dell’Università della Terza Età di Cassano delle Murge. Prima di iniziare il percorso nelle vie e nelle piazze del paese, ci tengo a scusarmi con i curatori e con i lettori e le lettrici se farò qualche errore di calcolo, dunque per eventuali inesattezze non esitate a scrivermi.

Il volume ha appena dodici anni (lo deduco dalla data in calce alla prefazione del professor Giordano), ma è un classico assoluto delle pubblicazioni locali. Il mio entusiasmo è presto spiegato da un mix di ragioni: la passione della storia che mi ha condotto a laurearmi a suo tempo in storia contemporanea; la mia ultima esperienza lavorativa, come portalettere e da ultimo l’investitura da parte dell’attuale sindaco come suo delegato su uno specifico progetto, cioè l’analisi e l’aggiornamento della toponomastica cittadina. Dunque partiamo da alcuni dati che hanno destato la mia curiosità: i curatori hanno considerato un totale di 277 toponimi, di cui soltanto 8 di questi riferiti a donne (5 sante, 1 religiosa e 2 scrittrici). Sul totale, 56 sono i toponimi che richiamano alla memoria cittadini e famiglie illustri cassanesi: i Miani, i Gentile, i Sanges e gli illustri Nicola Alessandrelli, l’architetto Vincenzo Ruffo, i maggiori Turitto e Rossani, il giornalista e storico Armando Perotti, i due Galietti, l’avvocato Paolo Fasano, il professor Colamonico (acquavivese), Laudati e Giordano (padre dello stimato prof. Tonino Giordano). Per concludere la carrellata degli illustri del passato l’onerevole Mandragora, il commissario prefettizio Battarino e i sacerdoti padre Angelo Centrullo e don Battista Armienti. Indicherò un nome su tutti per ricordare i caduti nelle varie guerre da Adua alla Seconda Guerra mondiale: quello di Saverio Viapiano, il più giovane dei caduti cassanesi (appena sedicenne) al quale fu intitolata una delle strade più lunghe del paese.

Curiosità per la via

Sul totale, 58 toponimi sono alla memoria di scrittori, artisti, scienziati e compositori: ben 15 vie del paese sono dedicate a questi ultimi e quasi tutte sono traverse della lunghissima via Repubblica: le vie Puccini, Ponchielli, Piccinni, Paisiello, Paganini, Umberto Giordano, Mascagni, Monteverdi, Saverio Mercadante, Leonardo Leo, Cimarosa, Bellini, Cilea, Rossini e Mameli (patriota e compositore dell’inno d’Italia).

Riferendoci sempre al totale dei toponimi, 79 ricordano politici, ufficiali militari, sindacalisti, patrioti, basti pensare alle due piazze più importanti del paese: piazza Aldo Moro (già piazza Umberto I) e piazza Giuseppe Garibaldi. Dunque uomini rappresentanti di due epoche così lontane eppure entrambi immersi in lotte politiche sanguinose. Le vie, invece, a ricordo di luoghi o avvenimenti e anniversari di vicende storiche fondamentali della storia d’Italia sono in tutto 47: dalla via di Acquaviva alla via Gorizia, dalla via di Bari alla via Trieste e ancora le vie Sicilia, Basilicata, Calabria e Campania (zona industriale) a ricordo del proficuo scambio con le regioni del nostro Meridione.

Ho scoperto, inoltre, leggendo questo corposo ma agile libro chi era Enrico Toti, al quale è intitolata una lunga e popolosa via nella zona del mercato settimanale (via Sisto e piazzale Merloni), al quale ho accostato, idealmente, la via che ricorda Fausto Coppi, nei pressi della Collina di S. Lucia: i due amavano correre in bici, ma se il secondo era un campione di ciclismo, il primo visse dai quindici anni con una sola gamba a causa di un incidente sul lavoro e percorse in bicicletta (con una sola gamba) lunghissime tratte (Parigi, Belgio, Olanda, Danimarca, Finlandia, Lapponia, Russia e Polonia, poi raggiunse Alessandria d’Egitto fino al confine con il Sudan) e non contento aveva più volte fatto richiesta di essere arruolato e mandato al fronte per contribuire alla vittoria patria. Dopo alcuni rifiuti a causa della sua menomazione fisica, la sua richiesta accorata fu accolta e il giovane ciclista ebbe la possibilità di contribuire alla vittoria dell’Italia durante la Prima Guerra Mondiale. Per la sua caparbietà e forza d’animo ebbe la sua parte di azione e morì in battaglia insieme ai bersaglieri che lo avevono accolto come uno di loro: a guerra conclusa la sua memoria fu onorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare dal Re in persona.

Numerose sono le vie intitolate a pensatori meridionalisti, una di queste, via Pietro Giannone, ricorda lo storico e illuminista meridionale (1676-1748) originario di Ischitella in provincia di Foggia, il quale come tantissimi altri a quell’epoca si trasferì a Napoli per proseguire gli studi. Questa breve via del paese è un esempio concreto di problematica irrisolta, poiché ad oggi risulta a vicolo cieco quando invece dovrebbe unire la piazza Galilei alla via Colamonico, esattamente di fronte alla via Giovanni XXIII.

Dal passato al presente

Dalla memoria alla vita quotidiana il passo è brevissimo. Un’altra curiosità svelata in questo volume è il nome con cui veniva indicato un rione dell’attuale zona Sacro Cuore: per essere precisi nei pressi di via Acquaviva una piccola via ricorda il rione ‘del Noce’, così come si chiamava la contrada rurale all’epoca. Per restare sempre in tema di luoghi e memoria, il toponimo Caponuovo, sta a ricordare una località nota sin dall’antichità: «Così chiamato, si legge nella scheda dedicata, perché in questa zona, secondo quanto riportato dallo storico Alessandrelli, si riunirono nel 539 (d.C., ndr) i superstiti provenienti dai sei villaggi sparsi nel territorio cassanese (Melano, Conetto, S. Domenico, Madonna della Scala, S. Lorenzo e Lago Gemolo) dopo la distruzione avutasi con la guerra greco-gotica. Probabilmente vollero dargli questo nome proprio perché stavano costituendo una nuova comunità».

Per avviare alla conclusione questo racconto, propongo altre due note informative: una relativa alla via San Zenone, la seconda traversa a sinistra di via Collina S. Lucia verso la chiesetta dedicata alla santa patrona della vista, e l’altra alla via Riconciliazione dei cristiani ovvero la via che conduce alla foresta Mercadante (in ricordo non del compositore altamurano, ma di una famiglia di Altamura proprietaria di terre in quella zona e che da questo ricco casato prese il toponimo). Il primo (S. Zenone) viene ricordato perché le sue reliquie furono portate anche a Cassano, tra l'altro fu il primo patrono di Cassano delle Murge, e difatti «le sue reliquie si trovano in una nicchia all’esterno della cancellata del Crocifisso nella Chiesa Matrice». La seconda delle due vie (via Riconciliazione), ricorda un avvenimento storico, di cui avevo già contezza grazie allo sforzo di Tonino Giorgio, che in un bel libro, ricco di fotografie, raccontò l’incontro tra i rappresentanti delle chiese ortodosse e quella cattolica tenutosi presso l’Oasi S. Maria in zona Colle Sereno o Circito.

Per restare in tema di zone extraurbane, va detto che nel libro non vi è traccia di tutte quelle aree abitate fuori dal centro, aree che svettano sulle colline di Cassano verso Altamura e alcune ai margini della foresta, proprio perché la maggior parte di quelle aree furono edificate a partire dagli anni Sessanta. In effetti ad oggi, a parte il centro storico che pure ha molte criticità, le zone che necessitano di interventi mirati e urgenti, sono proprie quelle extraurbane, presso cui le persone che ci vivono non sono più i pochi villeggianti di alcuni decenni fa, ma una cospicua parte della globalità dei residenti di Cassano, se non erro circa 2mila persone che vivono in vie senza nome e con numerazioni difficili da spiegare. Su questo punto si sta incentrando l’attenzione di chi scrive.

Riflessioni al tempo presente

Una riflessione va fatta anche alla luce della cancel culture, azione collettiva di rimozione di statue e cancellazione di vie e piazze che ricordavano uomini dal passato discutibile: uno dei più interessanti che spicca nel ventaglio dei toponimi locali è la via Cristoforo Colombo, il viaggiatore al quale viene attribuita la “scoperta” delle Americhe, mentre per altri Colombo è colui che condusse i popoli colonialisti europei a conquistare delle terre abitate da popoli nativi, dei quali s’è fatto uno dei genocidi più nefasti dell’epoca moderna. Questo è un tema al quale bisognerebbe dar spazio nel dibattito pubblico, come già in altri paesi limitrofi, una revisione alla luce delle attuali conoscenza e cultura dovrebbe esser posta all’ordine del giorno, attuando con le dovute cautele un rinnovamento che conduca attraverso la toponomastica alla storia più recente, di cui non vi è traccia tra le vie e le piazze del paese: a parte due giardini, anzi tre, intitolati ai giudici Falcone e Borsellino nei pressi dell’ufficio postale; ai Martiri delle foibe nel quartiere Sacro Cuore (ex 167) e il più recente in ordine di tempo, nei pressi della scuola media, intitolato alla memoria di Norma Cossetto, giovane donna presunta vittima della violenza dei partigiani jugoslavi, tutta la toponomastica, o quasi, ricorda la Roma imperiale e alcuni suoi imperatori (nel centro storico Augusto e Traiano) le tre Guerre d’indipendenza che contribuirono a comporre il puzzle dell’Italia, la Prima e la Seconda guerra mondiale con i loro protagonisti: tutto o quasi il racconto si arresta al periodo post-bellico arrivando al massimo agli anni Settanta-Ottanta (piazza Aldo Moro n’è un esempio). Stesso ragionamento varrebbe per i toponimi che ricordano i letterati e i filosofi, i giornalisti e gli scrittori, i poeti e gli artisti e ancora gli uomini di scienza e dell’accademia: se dovessi dare un nome su due piedi, senza dubbio penserei ad una via intitolata a Pier Paolo Pasolini (uno dei grandi pensatori del secondo Novecento) o magari a Maria Montessori (del cui metodo pedagogico oggi si fa largo uso) o ancora a Nilde Iotti, componente dei 75 della Costituente e prima donna a ricoprire l'incarico di presidente della Camera dei deputati dal 1979 al 1992, ben 12 anni. 

Ma soprattutto aggiornare significherebbe bilanciare i toponimi a favore delle donne, su questo punto credo che sia una battaglia di civiltà che attraverso la memoria porti a un riequilibro della bilancia dell’apporto dei due sessi nella storia del Paese: l’Italia di oggi, anno 2022 alle soglie del 2023, anche se funestata da mali atavici, non è, e mai più sarà, quella dei decenni passati (e figuriamoci dei secoli passati), quindi anche le strade dovrebbero raccontare storie diverse. Questa è una pratica già adottata altrove, che nulla toglie al passato ma che arricchisce il presente marcando un passaggio storico: la consapevolezza del presente deve necessariamente fare i conti con i lasciti del passato per renderli calzanti, dove possibile, con un pensiero progressista che guarda già al domani.

venerdì 16 dicembre 2022

Zona industriale: la minoranza propone una variazione tecnica al PRG. La maggioranza boccia e rilancia sul PUG

di Vito Stano

Non solo di sanità si è discusso ieri in Consiglio comunale, io personalmente mi sono appassionato anche al tema che ha fatto discutere parecchio in aula: da una parte il proponente, il consigliere Angelo Giustino, e dall'altra il sindaco, Davide Del Re. 

L'argomento non è stato di facile intuizione, eppure ha appassionato i pochi presenti e ha scaldato gli animi dei protagonisti, proverò quindi a fare una sintesi comprensibile ai più: la proposta di indirizzo del gruppo Cassano Avanti era di procedere, in forza di una Legge Regionale che lo prevede, alla 
«variazione delle Norme Tecniche di Attuazione del vigente piano regolatore che consentirà alle attività site nella zona industriale di effettuare anche commercio al dettaglio». Tutto chiaro? In pratica permettere a coloro che hanno capannonni in disuso di aprire qualsivoglia attività commerciale (o magari «una balera»), a fronte di variazioni non proprio di poco conto a livello del Piano Regolatore Generale. La proposta è stata discussa, votata a favore dal gruppo di minoranza e bocciato con i numeri della maggioranza. 

Quali sono stati gli argomenti portati a sostegno della bocciatura del gruppo EvViva Cassano? Il sindaco (come leggo anche sulla pagina fb del gruppo) ha dichiarato di aver «respinto, sia nel metodo sia nel merito, la proposta della minoranza circa l’autorizzazione al commercio al dettaglio nella zona industriale» perché «la proposta di variazione delle norme di attuazione in prima analisi è superflua. Infatti non è attuabile al nostro Piano Regolatore poiché in questo già sono previste le norme in tal senso»

Il sindaco ha precisato di 
essere d’accordo sull'ipotesi di nuove aperture, insistendo sulla modalità con la quale questo percorso debba avviarsi: le modifiche devono «partire in parallelo all’attività di formulazione del Piano Urbanistico Generale (PUG), che è lo strumento di pianificazione e governo del territorio comunale e che potrà permettere uno sviluppo organico della nostra città. Solo in questa cornice si potranno apportare le modifiche di dettaglio delle norme di attuazione».
Dunque la diversità di visione divide i gruppi consiliari: entrambi guardano ad uno sviluppo della zona industriale, ma con metodi e tempistiche differenti. Giustino e il suo gruppo insistono per accelerare, ma la maggioranza Del Re rigetta questa proposta sia nel merito sia nel metodo. 

Intanto mi pare che sia un bene che se ne sia potuto discutere liberamente, con alcuni picchi di seriosità e altri di gogliardia: del resto, da non dimenticare, che la maggioranza avrebbe potuto porre la pregiudiziale cassando la proposta della minoranza senza neanche aprire la discussione. Ma non è stato così. Quindi anche se la quantità di polemiche è sempre abbondante e tenendo conto della reciprocità di comportamento avuto anche nel recente passato, una forma di collaborazione (quella di Cassano Avanti) che va apprezzata e dall'altra (EvViva Cassano) un'apertura alla discussione affatto scontata. 

Restiamo ansiosamente in attesa che passi l’Epifania, quando a secco di denari tra regalie varie e bollette più che salate, proveremo a capirci di più durante il confronto tra amministratori e tecnici del territorio a proposito dell’elaborazione del PUG, proposta questa del sindaco che pare abbia messo tutti d'accordo. O almeno non ha prodotto polemiche.

Casa di comunità: la Asl avrà in comodato l'ex Casa bianca per quarant'anni

di Vito Stano

Una buona notizia prima delle prossime festività consumistico-religiose: l'edificio abbandonato e vandalizzato, che ospitava la clinica privata Casa Bianca, sarà (previe formalità di rito) ceduta in comodato d'uso gratuito per quarant'anni dal Comune di Cassano delle Murge alla Asl. Questa si farà carico dei lavori necessari e alla futura manutenzione straordinaria dell'immobile. Lo abbiamo appreso ieri in Consiglio comunale. 

In sintesi la casa di comunità sarà qualcosa in più di un ambulatorio e meno di un ospedale: un presidio di emergenza con tanto di pronto soccorso aperto h24 (com'è stato ribadito ieri durante i numerosi interventi sul punto) ma non solo, ci sarà spazio e modo anche per le visite specialistiche. La struttura è stata pensata per servire un bacino di 50mila abitanti, quindi saranno numerosi gli utenti che raggiungeranno Cassano delle Murge dai paesi limitrofi per usufruire dei servizi socio-sanitari che la struttura offrirà. 

Dunque, polemiche a parte, finalmente il nostro paesello ospiterà un presidio sanitario, che da anni molte persone reclamavano a gran voce inascoltate, visto che la popolazione cassanese nei mesi estivi aumenta e non di poco, con tutte le necessità del caso.

giovedì 17 novembre 2022

Il popolo è mio e per lui grido io: report mal fatto di un Consiglio comunale

di Vito Stano

Il popolo è mio e per lui grido io. No, non è l’ennesimo brindisi di una tarda serata finita ad alzare il gomito. È la sintesi di tanta democrazia che ieri si è consumata in Consiglio comunale. Le altre cose dette e replicate (fissità e dizionari, orgoglio e pregiudiziali) sono di certo importanti, ma quando al risveglio ti risuonano queste poche parole autoprodotte e messe insieme dal mio (mediamente dotato) cervello, qualcosa vorrà dire, perlomeno per chi scrive. 

Poi che anche ieri a presenziare eravamo al massimo dieci, comodamente stravaccati sulle rosse sedute della sala consigliare, vorrà dire qualcos’altro o no? Non uno di meno (e neanche di più). Un via vai che neppure allo studio medico in periodo covid. Questo dettaglio, sempre uguale da anni, mi fa da sempre riflettere sulla quantità (e qualità) di interesse di quel popolo tanto declamato e, a tratti, urlato. 

Del resto la politica è tanto, non soltanto provvedimenti e numeri. È anche spettacolo e il Consiglio è da sempre un palcoscenico sul quale dare il meglio si sé (come alla seduta di laurea: puoi dare il meglio di te, ma se agli esami sei andato maluccio, il voto finale sarà bassino). 

E figuriamoci se ieri qualche eletto (di quel popolo) non si sarebbe dato generosamente. Giustino gridava la povertà e i cenoni, Lionetti alla bontà del Natale e all’equità. Il sindaco Del Re tacciato di fare la lezione. La Caprio che s’infervora sui numeri. Aloisio impallinato a salve da Cavalluzzi su cose che tutti tengono a cuore (vedi l’ambiente-rifiuti-controlli). 

Ebbene che sia chiaro, ci sono stati a fasi alterne anche toni concilianti, richieste di «collaBBBorare!». Per carità come non accogliere quello sfrenato desiderio di collaborazione quando affiora sulle labbra e si fa parola, quasi una richiesta di aiuto e accoglienza, che ci fa sperare che qualcosa può davvero cambiare. 

Ma si sa anche che ci vuole stomaco e memoria in Consiglio comunale, perché se ne sentono di cose. Tra le tante: la trasparenza, il reperimento degli atti, le prerogative delle minoranze e i numeri della maggioranza eletta ad amministrare un Ente in sofferenza di organico, quotidianamente impegnato nel far fronte ai mille problemi che la comunità vive. Mettiamoci pure queste cose, belle e brutte. Del resto non mi pare che gli ultimi cinque anni a guida Di Medio-Giustino-Caprio abbiano lasciato alcun segno degno di nota: hanno amministrato con la forza dei numeri, come fanno tutte le maggioranze a tutti i livelli, chiedetelo a Giorgia, sono convinto che non vi deluderà. 

Le minoranze fanno il loro lavoro e le maggioranze fanno il loro lavoro. I numeri contano sempre. Questa volta è andata così. L’augurio mio, che parteggio per la maggioranza eletta, è che si possa svolgere sempre meglio l’azione di controllo amministrativo, diritto sacro delle minoranze, e nel mismo tiempo (perdonatemi la vena poetico-linguistica) la maggioranza possa proseguire con la determinazione che sta dimostrando dal momento dell’insediamento.

giovedì 19 maggio 2022

Riflessioni. In sogno, come in fotografia, emozioni costruite nei cantieri della mente

di Vito Stano

Benedetta campagna elettorale, che ci fa incontrare e salutare dopo lunghi periodi di relazioni magre, oltre che conoscere compaesani mai visti primi. Noi cittadini di Cassano delle Murge siamo fortunati, perché grazie al periodo elettorale possiamo affrancarci dalla triste vicenda quotidiana che sta riguardando l’Ucraina. 

A me però è capitato che l’altra notte ho fatto un sogno, un brutto sogno. Ho sognato di essere in un luogo pervaso dalla guerra. Ho provato 
emozioni reali, come nei sogni capita. E al risveglio ho preso la penna per non dimenticare quell’incredulità davanti alle facce intraviste nel buio di una stanza. Stanza il cui ingresso mi era precluso dallo sbarramento fisico di un compagno di battaglia, il quale dopo la mia insistenza s’è fatto da parte lasciandomi vedere e avvicinare ad un letto di fortuna sul quale dormiva, visibilmente sofferente mia figlia. Sorriso spento e grigia in viso, forse per la stanchezza o forse sofferente per una ferita subita. E d’un tratto mi riconosce e i suoi occhi di sempre prendono di nuovo vita e scatta come una molla abbracciandomi. 

Io la guerra, che sta distruggendo la vita di milioni di persone in Ucraina, evito di guardarla, perché sono stanco di saturarmi la vista e anche a causa della fervida immaginazione che m’accompagna, che unita ad una spiccata sensibilità alle sofferenze altrui, mi farebbe sentire troppi colpi, accrescendo quell’impotenza di fronte ai grandi disastri della Storia e della vita. In effetti avrò visto un tg e due-tre (al massimo) trasmissioni tv serali, più qualche video-commento sul canale youtube della rivista Limes e nonostante questa dieta dello sguardo, mi è bastato che la sera antecedente al sogno abbia ascoltato un fatto relativo all'accoglienza dei bambini ucraini nella mia cittadina murgiana (in perenne lotta elettorale) per soffrire in sogno una realtà così lontana. 

Io poi un fucile tra le mani non l’ho mai tenuto. Eppure in sogno ne stringevo uno tra le mani. Era bianco e tenendolo tra le mani mi sentivo inadeguato, chiedevo al mio compagno d’armi (questa volta riconoscevo in lui mio fratello gemello) consigli e ripetevo domande alle quali avevo già avuto risposte incomprese. Lui che ha fatto il servizio militare (al contrario mio) mi rassicurava stringendo tra le mani un fucile enorme di quelli alla rambo con catena di proiettili a tracolla. 

Il sogno, come la fotografia, non esistono nella realtà. Ma se la costruzione è efficace le emozioni che ne conseguono sono reali. Fanno ridere o fanno piangere come se fossimo in preda ad una dittatura delle emozioni, dalle quali si fatica a liberarsene al risveglio.

domenica 23 gennaio 2022

Conversazioni. Il filo di Arianna dei ricordi ricomincia da Giuseppe: expat di ritorno reimpiantato a Cassano delle Murge

a cura di Vito Stano

Con questa conversazione provo a riannodare i fili dei ricordi della vita inglese. Già troppi anni sono passati e a volte mi pare un'altra vita e, in effetti, per certi versi lo è, ma ci provo lo stesso a ricordare e con la scrittura a stimolare la memoria di coloro che come me hanno vissuto lontano da casa con l'idea, sempre in testa, di tornare un giorno.

Il ritorno ideale nel Regno di Sua Maestà Elisabetta II lo facciamo con Giuseppe Laterza: ci eravamo lasciati il 9 giugno con il racconto di un expat giovanissimo (Piero Campanale) e con questo racconto esperienziale torniamo a volgere lo sguardo al passato e a cercare di capire le ragioni dell’andata fuori confine e le ragioni del ritorno in patria. 

Chi è Giuseppe Laterza? Sono Giuseppe Laterza, ho 38 anni. Un ragazzo cassanese tornato al paese da qualche anno. Fino ad allora ho vissuto tra Bari e Portsmouth, in Inghilterra appunto. Sono laureato in psicologia e mi occupo di gestione del personale in una società di consulenza informatica. 

Quando sei partito la prima volta e quali sono state le ragioni della primissima partenza? Sono partito per la prima volta nel 2010. Ero fresco di laurea triennale (2008) e stavo frequentando la specialistica, mi mancavano pochi esami, ma la riforma Gelmini in quegli anni portò grandissima confusione e disorganizzazione in un sistema universitario già pesantemente compromesso. Tra la mancanza di informazioni, corsi di studio cancellati, esami rimandati e professori demotivati, nell’incertezza più totale, decisi di non perdere altro tempo e non farmi prendere dallo sconforto. Così partii per cambiare aria. 

Perché hai deciso di andare in Inghilterra e perché quella città? Beh, professori e professionisti ci avevano sempre detto che la conoscenza della lingua inglese era fondamentale per farsi strada nel mondo del lavoro, quindi quale posto migliore dell’Inghilterra per imparare? Inoltre, un mio caro parente vive a Portsmouth da molti anni e chiesi supporto a lui, per evitare di muovermi completamente al buio. 

La tua esperienza inglese, in realtà, è un insieme di periodi più o meno lunghi: sei sempre stato nella stessa città? In realtà dal 2014 in poi ci sono tornato più volte. Ho vissuto in Inghilterra per un totale di 3 anni. I primi due anni continuativi, dal 2010 al 2012, poi ci sono tornato nel 2014 per 6 mesi, nel 2016 per 4 mesi e nel 2017 per altri 6 mesi. 

Parlavi già inglese o lo hai imparato con la pratica quotidiana? Quando sono partito per la prima volta non lo parlavo assolutamente. La conoscenza scolastica non mi ha aiutato affatto. Ricordo che fu una sfida anche arrivare dall’aeroporto di Stansted alla città di Portsmouth il primo giorno. Quando chiedevo informazioni la gente mi guardava quasi stessi parlando una lingua aliena e i primi tre giorni mi sono chiuso in camera per paura di incontrare qualcuno e di doverci parlare. È stata una strana reazione. Poi però ho subito iniziato a frequentare una scuola, a lavorare, e per forza di cose l’inglese l’ho imparato. Forse più per istinto di sopravvivenza che per altro. 

Che genere di lavori hai fatto? Ho iniziato subito con un super classico, facendo il cameriere o l’aiuto cuoco in un paio di ristoranti italiani. Andavo a scuola la mattina e la sera lavoravo. Dopo qualche mese, grazie ad un amico conosciuto proprio in quel ristorante, ho trovato lavoro in una fabbrica di cavi coassiali (cosa a me sconosciuta fino a quel momento). A parte un paio di colleghi, gli altri erano tutti del posto. All’inizio integrarmi è stato difficile, soprattutto a causa del gap linguistico. Ma poi si sono rivelate tutte persone magnifiche, tanto che sono tornato a lavorare nella stessa azienda anche nei successivi periodi. 

Sei laureato e specializzato in Psicologia, all’epoca della tua partenza in UK eri già laureato? Hai cercato Oltremanica un’occupazione adeguata alla tua preparazione accademica? Se sì, com’è andata la ricerca? Attualmente ho una Triennale in Psicologia Clinica, una Laurea Magistrale in Psicologia del Lavoro e un Master in Gestione delle Risorse Umane. Come ho già detto, quando sono partito la prima volta avevo solo la Triennale e dal momento che non parlavo affatto inglese, non ci ho nemmeno provato a trovare un lavoro in linea con quel titolo. La stessa cosa è successa nei successivi periodi. Come puoi immaginare, il mio lavoro presuppone una conoscenza della lingua e di tanti altri aspetti della cultura, del sociale e del lavoro del paese ospitante che difficilmente possono essere appresi in poco tempo. Quindi ogni volta tornavo nei ristoranti o nella fabbrica di cavi coassiali (il cui proprietario e i vari colleghi ringrazierò sempre per avermi ogni volta accolto e dato sostentamento). Penso che per lavorare nel mio settore in UK, avrei dovuto viverci per molti più anni ininterrottamente. Cosa che non mi è stato possibile fare. 

Come mai sei tornato e ripartito più volte? Cosa ti spingeva a tornare in Italia? Il motivo principale è stata la situazione di salute di mia madre. Era malata da tanto e ogni volta che si aggravava tornavo per starle vicino. E poi, già che c’ero, studiavo per un altro titolo di studio, per provare a trovare lavoro in Italia. Quando lei sembrava stabilizzarsi, ripartivo, dal momento che di lavoro, in Italia, non c’era nemmeno l’ombra. La mia esperienza è stata sempre un continuo alternarsi di sentimenti diversi, da una parte la voglia e il bisogno di stabilirsi, trovare un lavoro e iniziare una vita da qualche parte. Dall’altra parte l’attaccamento e l’affetto per la mia famiglia (soprattutto in momenti difficili) che, diciamocelo, è quello che manca di più quando si vive all’estero. 

Hai subito la frustrazione di non riuscire a realizzarti nel settore che volevi? Ho sentito la frustrazione di non riuscire a realizzarmi nel settore in cui volevo in Italia! Quello sicuramente. Era nel mio paese che i miei titoli e le mie competenze avrebbero dovuto aiutarmi a realizzarmi. Quando sono andato in Inghilterra, non mi aspettavo nulla. Ero in un paese straniero, non conoscevo nessuno, non parlavo nemmeno la lingua del posto, cosa potevo pretendere? Poi negli ultimi anni c’è stato un esodo spropositato in UK, dovuto alla crisi economica globale. Ovviamente le opportunità migliori erano riservate a chi aveva la preparazione migliore. E la preparazione offerta dalla scuola italiana, rispetto al resto d’Europa, non è di certo ai primi posti. 

Quali pregiudizi hai incontrato da parte degli inglesi? Inizialmente nessun pregiudizio in particolare, a parte quelli legati universalmente all’essere italiani (spaghetti, pizza, mandolino, Berlusconi, mafia, bunga-bunga erano i termini più utilizzati quando ci si presentava a qualcuno del posto). Era il 2010. La crisi aveva appena iniziato a mietere le sue vittime e il flusso migratorio era importante, ma contenuto in limiti accettabili. Poi credo che quando rispetti, vieni rispettato. Quando lavori e ti comporti da persona seria e affidabile, tutti i pregiudizi cadono. Tutte le persone con cui ho lavorato e che ho conosciuto in maniera più approfondita, sono sempre state molto rispettose, gentili e disponibili nei miei confronti. Ovvio che le eccezioni ci sono ovunque e sempre. 

Che rapporto hai maturato con i sudditi di Sua Maestà? Ripeto, le persone con cui ho lavorato e che ho conosciuto in maniera più approfondita sono state sempre gentili, disponibili e rispettose nei miei confronti, nonostante qualche difficoltà iniziale dovuta ad una mia difficoltà comunicativa. Ma, una volta superato quell’ostacolo, quelle persone sono diventate una famiglia. Non smetterò mai di ringraziarle. A parte loro, quando si fanno due lavori al giorno e si studia, è un po' complicato farsi delle amicizie che non gravitino negli ambienti quotidiani. 

Hai stretto amicizie con ragazzi e ragazze di altri Paesi? Se sì, quali? Si, assolutamente. La prima volta che sono arrivato in UK e ho iniziato a frequentare la scuola, ho conosciuto ragazzi arrivati li da tutto il mondo. Spagnoli, francesci, tedeschi, russi, indiani, coreani. Ho avuto modo di confrontarmi con ragazzi turchi, iraniani, arabi. Sono stati rapporti che mi hanno cambiato la vita, perché con loro ho avuto modo di confrontarmi circa temi molto delicati come la religione, la politica, la cultura. Aspetti che solo guardandoli da vicino si possono capire, mentre molta gente è ancora abituata a stigmatizzare per partito preso, senza essersi mai posta la minima domanda a riguardo. I ragazzi spagnoli sono stati quelli con cui ho stretto subito rapporti di amicizia più simili a quelli che avevo in patria. Sicuramente per la facilità comunicativa, essendo lo spagnolo e l'italiano molto simili, e per le affinità, culturali ed economiche che legano i cittadini del mediterraneo. Sicuramente è stata un’esperienza di apertura al mondo che in un paesino del sud Italia non avrei mai avuto la possibilità di vivere, con tutte le ovvie conseguenze sul mio carattere e sulle mie idee. 

Il flusso migratorio italiano verso l’estero era imponente all’epoca, il nostro Paese aveva subito scossoni pesanti dalla crisi del 2007-2008, come italiani eravamo quarti in quella speciale classifica che ci vedeva dietro a polacchi, rumeni e spagnoli. Con la Brexit e le restrizioni post-covid19 la situazione migratoria ha di certo vissuto una battuta d’arresto. Credi che il flusso degli italiani verso l’estero e verso il Regno Unito in particolare riprenderà come prima? Ho i miei dubbi. Prima della Brexit il Regno Unito era un porto sicuro per tutta una serie di motivi: mercato del lavoro che offriva molte opportunità, diritti sociali ed economici che permettevano una qualità della vita sostenibile, un generale meltin pot di provenienze e un clima di apertura culturale nella quale era piacevole e formativo vivere. Probabilmente con il passare del tempo, negli ultimi anni, proprio a causa di questo flusso migratorio sempre più accentuato, della saturazione del mercato del lavoro e della campagna pro Brexit, le cose sono un po' cambiate. Soprattutto quest’ultima ha dato libero sfogo a derive razziste e a comportamenti di intolleranza a volte pericolosi. Già nel 2016, anno in cui gli inglesi hanno votato a favore della Brexit, l’aria che si respirava era un po' diversa. Gli sguardi erano cambiati, le parole nei confronti degli stranieri più taglienti, i comportamenti in qualche modo più pesanti. Non ci si sentiva più ospiti, ma immigrati. In qualche modo, un peso. È diventato più difficile arrivare in UK per cercare lavoro. È necessaria tutta una mole di documenti per rimanerci. È diventato difficile godere di molti diritti, quindi penso che, venendo a mancare tutta una serie di situazioni peculiari della vita nel Regno Unito, prima di partire ora ci si debba porre un paio di domande, le cui risposte non sono più tanto scontate: perché proprio il Regno Unito? Forse vivrei meglio in qualche altro posto? Molti altri paesi del nord Europa offrono molto: Danimarca, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo. Le stesse Francia e Germania stanno vivendo un periodo di ripresa economica e, magari, sono anche più vicine logisticamente. Quindi perché intestardirsi con il Ragno Unito? Rispettiamo la loro scelta. 

Secondo te quanto la vicenda Brexit ha influito sulla scelta del Paese (da parte dei nuovi expat) in cui ricominciare una nuova vita? Moltissimo e sicuramente continuerà a farlo. Nessuno sa quali saranno gli sviluppi sull’economia e sulla cultura del Regno Unito, ma i primi dati non sono molto rassicuranti. Personalmente preferirei vivere in un paese in cui i miei diritti da cittadino europeo fossero ancora garantiti. Pensaci: se deve essere così difficile per me entrare in un Paese e godere dei diritti più banali come guidare un mezzo di trasporto, trovare lavoro, comprare casa, curarmi, mandare i miei figli a scuola, farmi accettare dagli autoctoni eccetera, a questo punto forse è meglio rimanere a casa, no? A meno che a casa non ci siano guerre civili, povertà estrema, violenze di ogni genere, allora qualunque scelta sarebbe condivisibile. Ma questo è un altro discorso. 

Oggi vivi nuovamente a Cassano delle Murge, tuo paesello d’origine, pensi mai all’eventualità di espatriare di nuovo? E se lo facessi oggi dove decideresti di andare? Vedo e sento molta gente compiere gesti folli, perché è rimasta senza lavoro o perché ha perso tutto. Per espatriare ci vuole coraggio, lasciare tutto e andare incontro a una vita nuova e sconosciuta. Però penso che da qualche parte, nel mondo, ci sia qualcosa per ognuno di noi. Basta andarselo a cercare. Sicuramente la prima volta è molto difficile e più si diventa grandi, magari con la casa, i bambini, l’idea di cambiare Paese sembra quasi impossibile. Ci vuole ancora più coraggio, sicuramente. Ma è un’opportunità. Un’alternativa. Sono sicuro che, se mai mi dovessi trovare in difficoltà nella mia vita, partirei di nuovo. Fatto una volta (o quattro come nel mio caso), poi è meno complicato. 

In ultimo, sembra che chi vada in Inghilterra «torni un po’ cambiato» (cit. Caparezza), vale anche per te e, se sì, quanto? Sicuramente l’esperienza mi ha cambiato profondamente. Non sarei stato la stessa persona se non fossi partito. Cavarmela da solo in un Paese straniero, conoscere gente di altre nazionalità, discutere di qualsiasi cosa con persone che arrivano dall’altra parte del mondo. Consiglierei l’esperienza a tutti. Magari, dopo il diploma, andare a vivere un anno fuori. Sicuramente molte cose cambierebbero per la nostra società. L’aspetto che più ha avuto effetto sulla mia personalità è stata sicuramente la enorme varietà culturale incontrata ogni giorno ovunque. Un’esperienza molto forte per chi arriva da un piccolo paese del sud Italia, quella, secondo me, era la più grande forza del Regno Unito. Volerla limitare o, addirittura, eliminare, è come decapitare o imbrattare un’opera d’arte. Sono sicuro che altre nazioni prenderanno quel posto e si arricchiranno di tutti quegli aspetti che facevano grande il Regno di Sua Maestà. Mi piacerebbe fosse l’Italia a ereditare questa ricchezza, ma credo non siamo ancora pronti per questo.